di Gianvittorio Randaccio
Io, lo dico con una certa sorpresa, è da qualche mese che sono diventato un refertista. Fino a qualche tempo fa, devo essere sincero, l’esistenza della figura del refertista mi era completamente ignota: poi mia figlia ha cominciato a giocare nell’Under 13 di pallavolo dell’OSG, l’allenatore Fabio ha chiesto se qualche genitore aveva voglia di iscriversi al corso per diventare refertista, mia moglie ha risposto che io sicuramente l’avrei fatto volentieri, ed eccoci qua.
Il refertista, per chi non lo sa, è una specie di contabile che siede a un lato del campo di pallavolo, dalla parte opposta rispetto alla pedana dell’arbitro; è in genere affiancato dal segnapunti, che ha il compito di schiacciare dei tastini per aggiornare il tabellone luminoso del punteggio. Il refertista ha un ruolo delicato: è lì per prendere nota di tutto quello che succede in campo, per testimoniare che si è svolta una partita tra due determinate squadre, che è finita con un certo punteggio ed è durata un certo periodo di tempo. È la squadra di casa a occuparsi del referto e il documento che viene prodotto viene rilasciato poi alla squadra avversaria e alla federazione, che chissà poi dove lo mettono.
Il referto è, a prima vista, una specie di constatazione amichevole, così come l’arbitro ha anche lui qualcosa del vigile urbano, visto che muove le braccia in alto, o a destra, o a sinistra, per segnalare punti, falli o time out, ma non ha nessuna paletta. In pratica ci sono due squadre che si scontrano, provocando dei danni, e il refertista sembra proprio lì per dirimere la questione, disegnando con numeri, crocette e pallini una specie di mappa dell’incidente, che finirà poi, si può presumere, all’assicurazione.
Per diventare refertista si segue un corso online e si sostiene un esame vero e proprio, non bastano la buona volontà e la voglia di farlo. Così una sera di novembre io e un’altra decina di aspiranti refertisti abbiamo seguito una lezione online nella quale un’esperta e scafata refertista ci ha insegnato a compilare questo enigmatico documento, prendendo in esame i casi più disparati: una squadra, per esempio, aveva due liberi, e faceva un sacco di cambi; un’altra sbagliava a mettere in campo le proprie giocatrici e si prendeva una sanzione; poi ancora una giocatrice arrivava in ritardo e bisognava segnalarlo nell’apposito riquadro delle Osservazioni. Insomma, questa ipotetica partita di cui bisognava compilare il referto era una specie di carnevale in cui succedeva di tutto e il povero refertista non si doveva perdere niente, se no avrebbe prodotto un documento imperfetto.
L’esame, poi, non è stato da meno, con alcune domande che sembravano prese dall’esame di teoria della patente e una certa difficoltà nel tenere il conto dei punti, tra servizi persi, attacchi riusciti e sostituzioni di L2 con L1. Alla fine, però, nonostante qualche errore sono riuscito a superarlo.
Dopo aver ottenuto l’agognato tesserino, ho anche svolto la mia mansione di refertista in una partita del’OSG, riuscendo nell’impresa di compilare un referto che mi è sembrato appena decente. Ho scoperto che una partita dell’Under 13 è molto più semplice da refertare rispetto a quella della lezione online: non ci sono i liberi, le sostituzioni sono pochissime e le sanzioni sono praticamente inesistenti. Al massimo qualche spettatore si è messo le dita nel naso, ma non andava segnalato. Devo confessare che, nonostante tutto, a un certo punto mi sono distratto e mi sono dimenticato di segnare dei punti, ma il prezioso aiuto della grande Monica mi ha evitato una brutta figura.
Adesso non so cosa succederà. Ogni tanto verrò chiamato a fare il refertista, o anche a segnare i punti, chissà; l’arbitro, invece, è una cosa più complicata, non penso basti un corso online. Sicuramente, però, potrò esibire a chiunque, in ogni momento, il mio tesserino; anzi, potrò farlo moltissime volte, tutte le volte che vorrò, perché una cosa bellissima del titolo di refertista è che non ha scadenza, c’è scritto chiaramente, non bisogna rinnovarlo o rifare l’esame, vale per tutta la vita. È per questo, mi vien da dire, che refertista non si nasce, ma sicuramente si muore.